La definizione da dizionario ci dice che il ritratto sia la riproduzione figurativa o fotografica delle sembianze di una persona. Detto così, niente di più facile: inquadratura, messa a fuoco, scatto. Ma tutti noi, che ci siamo emozionati davanti ai ritratti dei grandi maestri, sappiamo che un ritratto è molto di più, perché se i tecnicismi non sono accompagnati dalla capacità di vedere oltre, di raccontare il protagonista, di saperne cogliere l’essenza, possiamo parlare forse di una foto, ma non certo di un ritratto. Non è facile farne e farli bene. Poche sono le persone che si sentono a proprio agio davanti alla macchina fotografica, da cui sono tutti un po’ intimoriti, poche quelle abbastanza sicure di sé da mostrarsi senza remore, senza nascondersi, offrendo sé stesse con spontaneità e verità. Tutti noi indossiamo molteplici maschere che ci servono per affrontare situazioni, persone e momenti diversi della nostra vita: si può cercare di coglierne almeno una, oppure di andare oltre sperando di raggiungere l’essenza di chi abbiamo davanti.
Personalmente, amo il ritratto. Amo l’interazione che lo precede e lo accompagna in ogni momento, lo sforzo di provare a vedere oltre le apparenze, di mettere a proprio agio chi ho davanti, nella speranza di riuscire per un attimo a coglierne la verità oltre le difese inconsapevoli, oltre la maschera che non ci rendiamo nemmeno più conto di indossare in ogni momento.
E’ un’arte complessa, che include anche un po’ di psicologia e che va ben oltre la scelta di inquadratura e luci, ma fa entrare in contatto con un altro essere umano, alla ricerca dello scatto perfetto che sia in grado di raccontare una persona.